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La democrazia “informatizzata” negli Stati Uniti

11/12/2008
XPinyol

Il 21 gennaio 2009 Barack Obama arriverà alla Casa Bianca preceduto da un enorme punto interrogativo (almeno negli ambiti che si interessano ai rapporti tra tecnologia e politica). Trasferirà nel suo modo di governare l'esperienza, le attitudini e gli strumenti che gli hanno permesso di vincere le elezioni?

La decisione di dedicare buona parte del piano di risanamento alle connessioni a banda larga è stata accolta favorevolmente. In particolare la frase in cui si afferma "è inaccettabile che gli Stati Uniti occupino la quindicesima posizione nel mondo nell'adozione della banda larga. Nel Paese che ha inventato Internet, ogni bambino dovrebbe avere la possibilità di connettersi". Ma per molti il ​​problema va oltre. In che misura sei disposto a cambiare il modo in cui il Paese è governato? Il modello di democrazia americana è in discussione.

La domanda si pone in molti blog e, in particolare, su Change.org (contrappunto cittadino al Change.gov ufficiale) che raccoglie le idee delle persone su come cambiare il Paese.

L'attesa è tale che un gruppo di attivisti di PersonalDemocracy e TechPresident hanno lanciato un libro che raccoglie decine di saggi e proposte su cosa si dovrebbe fare.

La speranza poggia su una convinzione riassunta dall'analista Esther Dyson: "Nello stesso modo in cui Internet ha creato nuovi modelli di business, può incoraggiare nuovi modelli di governance". La sfida, secondo il repubblicano Newt Gingrich, è "sostituire la penna d'oca dei fondatori con un topo".

Autore del libro La ricchezza delle reti Yochai Benkler stima che dall'esperienza accumulata nell'economia dell'informazione in rete emergano due punti. "In primo luogo, le persone possono, con un livello di sforzo relativamente moderato, riunirsi per agire in modo efficiente su problemi che non potevano affrontare in passato. In secondo luogo, possono lavorare insieme in modo cooperativo, senza la necessità di mercati, gerarchie o altri governi. organizzarli. La collaborazione su larga scala tra popolazioni disperse è gestibile, sostenibile ed efficace." Il libro ha il titolo inglese rivelatore di Riavviare l’America – Idee per ridisegnare la democrazia americana per l’era di Internet (Riavviare l'America. Idee per ridisegnare la democrazia americana nell'era di Internet e può essere scaricato gratuitamente su rebooting.personaldemocracy.com.

Il formato breve e la varietà dei partecipanti (dai liberali come Kaliya Hamlin o Zephyr Teachout, impegnati nella campagna di Howard Dean nel 2004 e in quella di Barack Obama quest'anno, al blogger conservatore Glenn Reynolds e Newt Gingrich, ex leader dei repubblicani in Congresso) lo rendono più che leggibile. Tutti sono convinti che i fondamenti della democrazia americana, concepiti prima del treno, del telefono e di Internet, debbano e possano essere rivisti, che la democrazia 2.0 permetta di dare più forza all’approccio dei Padri Fondatori e addirittura di svilupparlo.

Alcune idee provengono direttamente da concetti alla moda come la saggezza delle folle. Per Julie Barko Germania, ad esempio: "La saggezza di molti (informati) può governare così come una piccola élite".

Danah Boyd, nota per il suo lavoro sull'uso dei social network da parte dei giovani, mette in guardia sui rischi tecno-determinismo: credere che la struttura tecnologica determini la pratica sociale. E raccomanda, invece di lasciarsi trasportare dalla convinzione che i social network siano “una panacea”, di concentrare la tensione sulle cause dell’alienazione e della disillusione che impediscono alle persone di partecipare alla vita civica comune.

È improbabile che il prossimo presidente sostenga che la democrazia sarebbe migliore “senza rappresentanti”, ma non può nemmeno ignorare l’avvertimento dei redattori di questo affascinante lavoro secondo cui un ritorno alle pratiche tradizionali dopo l’insediamento di Barack Obama costituirebbe “un’enorme occasione mancata per il nuovo presidente e americani.

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